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IL PENSIERO E LE EMOZIONI: NESSI E RELAZIONI.

 

Carlo de Michele

23 dicembre 2015

 

La specie umana è caratterizzata dalla completa mentalizzazione della propria organizzazione. Ciò significa che condivide con le forme di vita evoluzionisticamente precedenti tutte le strutture biologiche (anatomo fisiologiche) che consentono l’automatico svolgimento delle funzioni vitali ma che esprime una caratteristica assolutamente nuova, cioè lo sviluppo umano del pensiero che permette una scelta individuale sul controllo delle modalità di espressione della vitalità.

Sin dalle prime forme di vita organizzata, per giungere sino all’uomo, compare la capacità di recepire il variare delle condiziono esterne per modificare i metabolismi interni al fine di mantenere un corretto equilibrio omeostatico.

Man mano che le organizzazioni animali divengono evolutivamente più complesse anche le modalità di regolazione degli equilibri interni in relazione alle variazioni delle condizioni esterne si complicano: tra di essi cessa di esistere un rapporto diretto, ma si sviluppano strutture le cui funzioni sono specializzate nel raccogliere e trasmettere informazioni (Sistema Nervoso)

All’interno di questo riconosciamo.

1) Sistemi recettoriali specializzati. Costituiti da   strutture capaci di rispondere ognuna alla stimolazione da parte di forme di energia diverse per cui è specificamente recettiva e di trasmetterla al midollo spinale, ai centri superiori sino alla corteccia cerebrale.

2) Sistema Nervoso Autonomo: la sua funzione è quella di regolare armonicamente l’attività dell’intero organismo nelle varie circostanze che si presentano nel corso della vita. All’interno del SNA riconosciamo due sottosistemi:

IL SISTEMA PARASIMPATICO che presiede ed organizza tutte le funzioni interne necessarie al mantenimento dell’efficienza, all’autoriparazione dell’organismo ed alle funzioni riproduttive.

IL SISTEMA SIMPATICO, da cui dipendono tutte le funzioni “esplorative” nei riguardi dell’ambiente al fine di provvedere nel modo più utile possibile alla soddisfazione delle esigenze energetiche. E’ cioè il sistema che permette qualsiasi forma di attività, che regola il bilancio energetico.

La coordinazione di questi due sistemi apparentemente antitetici è garantita da funzioni centrali, anche esse condivise con i mammiferi superiori, sino alla emergenza di attività corticali estremamente complesse.

L’ulteriore evoluzione rispetto ai primati, con il prevalere delle funzioni corticali e con il complicarsi delle funzioni vitali, porta a privilegiare nel rapporto col mondo esterno quello con i propri simili, vale a dire che la possibilità di avere una cognizione sempre più precisa dell”Umore” del proprio simile diventa l’elemento forse fondamentale dell’esistenza.

Questo tipo di evoluzione si correla con l’emergenza delle funzioni psichiche; ovviamente il Sistema Psichico, il Sistema Nervoso Autonomo ed il Sistema somatosensoriale sono strettamente legati ed interdipendenti.

Nella specie umana si arriva ad un tale livello di complessità che la risoluzione dei vari problemi vitali diviene totalmente originale, addirittura unica, cioè sganciandosi pressoché totalmente dalla schema di risposte stereotipate e guidate dagli istinti tipica anche dei primati (per quanto modulata in queste specie dalle notevoli capacità di apprendimento) e arrivando all’”invenzione” del linguaggio verbale, indispensabile per una raffinata comunicazione di elaborati di pensiero unici, originali, individuali.

Quanto sinteticamente esposto corrisponde a funzioni nervose che è molto difficile individuare isolandole dal contesto delle infinite elaborazioni e processazioni a cui ogni singolo evento nervoso viene sottoposto, ma usando la scala evolutiva come modello delle varie funzioni emergenti è possibile giungere ad uno schematismo riduttivo efficace..

 

  • IRRITABILITA’

La prima funzione nervosa che emerge è la IRRITABILITA’ cioè la capacità della superficie di confine di reagire in modo stereotipato, globale e generalizzato a qualsiasi tipo di stimolo, senza alcuna distinzione della sua qualità.

 

  • SENSIBILITA’

Sulla superficie esterna si sviluppano poi particolari strutture nervose dette RECETTORI specializzati nel reagire esclusivamente a specifiche forme di stimoli. Si hanno quindi recettori termici, dolorifici, tattili, acustici, visivi, olfattivi, gustativi che rispondono al calore, pressione luce, stimoli chimici ecc. E’ a questo livello che cominciamo a parlare di SENSIBILITA’, cioè di risposta specifica (e quindi di individuazione e selezione) di caratteristiche distinte del modo esterno

 

  • PERCEZIONE

Le informazioni condotte centralmente dai vari recettori specializzati vengono immediatamente correlate e processate dando Luogo alla PERCEZIONE, cioè a quel livlello di elaborazione che consente l’individuazione di un oggetto esterno e delle sue caratteristiche.

 

  • EMOZIONE

La percezione dell’oggetto esterno costituisce un primo livello di conoscenza che permette di individuarne le caratteristiche distinguendo l’animato dall’inanimato, e, nell’ambito dell’animato, le caratteristiche animali da quelle   umane.

Ciò è possibile in funzione del fatto che la trasmissione delle informazioni verso il centro (midollo spinale, cervello) ha il compito di predisporre l’organismo alla risposta, quindi a modificare in tal senso l’equilibrio del Sistema Neurovegetativo. E’ evidente quindi che il modo di reagire ad un evento deve essere il più puntuale possibile e la scelta del tipo di risposta non può dipendere dalle caratteristiche dell’oggetto che può anche essere sconosciuto, ma deve basarsi su qualcosa di certo, cioè il tipo di reazione automatica dell’organismo. Io definisco questa condizione: EMOZIONE intendendo con tale espressione il complesso di reazioni neurovegetative, cioè livello e qualità di attivazione di organi ed apparati, in funzione diretta e automatica degli stimoli recepiti. Questo processo e quasi del tutto simile a quanto accade anche negli animali. Ciò che distingue l’umano dall’animale è il modo in cui l’emozione dà luogo al processo di conoscenza. Nell’uomo le reazione neurovegetative si riferiscono immediatamente alla nascita ovvero alla reazione di difesa contro gli oggetti inanimati (attivazione massiccia del s. ortosimpatico sino “all’annullamento” della realtà esterna, ed alla conseguente reazione all’immagine-ricordo della esperienza umana vissuta nell’utero (ripristino dell’attività parasimpatica con recupero della energia, ristabilimento dell’equilibrio energetico interno, formazione del primo abbozzo di attività mentale). In funzione di questo riferimento secondo me esistono solo 2 tipi di emozioni di base:

 

  1. ALLARME, in tutte le sue declinazioni come rabbia, aggressività, paura; reazioni cioè ad un oggetto esterno potenzialmente pericoloso o che comunque richieda l’attivazione di un comportamento difensivo a costo energetico alto. Tenere presente che il sistema ortosimpatico è il “ministero delle finanze” quello cioè che stabilisce e finanzia le spese energetiche di tutto il corpo.
  2. ABBANDONO, in tutte le sue accezioni quali attesa, fiducia, simpatia, gioia ecc., atteggiamento interno rispetto a condizioni percepite come capaci di corrispondere all’attesa, di fornire ciò di cui si ha necessità senza che il soggetto debba compiere un lavoro per procacciarselo. E’ la condizione conseguente all’accudimento, al ricevimento del regalo. Ovviamente ha come modello la condizione organica esistente all’interno dell’utero. Ortosimpatico = fare; Parasimpatico = ricevere.

 

Il fatto che in letteratura esistono diverse classificazioni che distinguono almeno 8 Emozioni primarie : rabbia – paura; tristezza – gioia; sorpresa – attesa; disgusto – accettazione dipende dal fatto che non viene ben discriminato quanto è puramente neurofisiologico da quanto è prodotto di conoscenza o di elaborazione psichica. L’altro elemento che genera confusione può essere il fatto che non si sa cosa sia la nascita e come si articola il pensiero.

In realtà, dal punto di vista neurofisiologico, evolutivamente all’inizio esisteva solo il sistema parasimpatico, cioè quello che doveva provvedere all’accumulo dell’energia interna necessaria al mantenimento dell’omeostasi. Solo successivamente si è differenziato il s. ortosimpatico per mezzo del quale è stato possibile, in particolari circostanze pericolose, bloccare l’uso dell’energia per mantenere l’omeostasi ed utilizzarla per compiere azioni nell’ambiente. Immaginiamo una fabbrica: in condizioni normali tutto il personale lavora alla catena di montaggio; in caso di aggressione nemica il personale interrompe il lavoro alla catena di montaggio ed esce per combattere.

 

 

  • SENTIMENTO

Al di là di qualsiasi accezione letteraria per sentimento dobbiamo intendere il “sentire” le emozioni, cioè la consapevolezza delle reazioni del proprio corpo in funzione dell’esistenza di un determinato stimolo esterno.

E’ a questo livello che la differenza tra elaborazione animale ed umana la differenza comincia ad essere più netta. Fermo restando il fatto che queste realtà neurologiche hanno lo scopo comune di salvaguardare l’integrità del soggetto e della specie, la consapevolezza delle emozioni rispetto alla loro causa nell’animale va a costituire un nucleo esperienziale capace di ottimizzare gli istinti che restano i motori primi dei comportamenti, nell’uomo l’esperienza si trasforma in conoscenza cioè in quel continuo di immagini mentali (pensieri, idee) che diventano i motori dei comportamenti umani, relegando i controlli istintivi a ruoli secondari. Secondo me è a livello del sentimento che è possibile operare la distinzione che invece viene fatta a livello delle emozioni: nell’ambito delle 2 emozioni fondamentali si sviluppa la discriminazioni di differenze e similitudini che permette di elaborare sentimenti simili ma diversi, operazioni necessaria per costruire categorie di conoscenza degli oggetti molto precise e che permettono poi di interagire con essi stabilendo le “giuste distanze”

 

  • AFFETTO

L’etimologia di questo termine è: ad facio ed implica il concetto di attività volto verso qualcuno. Quindi esprime un’idea di necessità di regolare i rapporti interumani, dunque un livello di elaborazione più alto di quello dei sentimenti, che possono avere ancora un oggetto indefinito.

L’idea di “fare nei confronti di qualcuno” implica una consapevolezza delle emozioni da qualcuno suscitate, la consapevolezza della propria identità, l’intenzione di avere rapporto con qualcuno, quindi una complessa elaborazione di pensiero consapevole. Una storicizzazione ed una verbalizzazione del proprio essere in rapporto che ha come fine non tanto la sopravvivenza quanto la realizzazione identitaria.

 

IN SINTESI:

 

IRRITABILITA’. Generica reattività agli stimoli, indifferentemente diffusa su tutta la superficie irritabile capace di indurre risposte globali ed indifferenziate.

SENSIBILITA’: attività recettoriale specializzata che distingue le varie forme di energia, ed   induce risposte modulate e specifiche.

PERCEZIONE: prima elaborazione dei dati sensoriali che permette l’identificazione dell’oggetto esterno.

EMOZIONE: atteggiamento funzionale interno gestito in modo diretto ed automatico dai sistemi orto e parasimpatico al fine di dare una risposta immediata ed indipendente dall’elaborazione volontaria   a stimoli esterni qualitativamente diversi.

SENTIMENTO: elaborato corticale di consapevolezza delle emozioni in funzione del quale è possibile categorizzare gli oggetti esterni, considerare il valore che essi hanno per il soggetto, memorizzare formando esperienza capace di regolare i comportamenti.

AFFETTO. Prodotto mentale complesso che storicizza attraverso la verbalizzazione la reattività emotiva individuale che guida i comportamenti verso altri individui.

 

Entropia…        

Carlo de Michele

30 dicembre 2004

 

L’ineluttabilità del significato d’un principio…

Lo sgomento di un’eclissi di sole…

Qualsiasi sistema isolato evolve verso uno stato di eqilibrio in cui permane indefinitamente…..

Cioè?:

Qualsiasi sistema organizzato, da una semplice pietra al più complesso dei mammiferi, tende naturalmente alla disgregazione.

Quindi ciò vale anche per gli esseri umani? Vuol dire che noi siamo destinati a morire e che tutto ha un termine…con poche speranze nell’aldilà?

Si, certo.

…e nemmeno l’anima si sottrae a questa legge?

La realtà umana è materiale e le sue funzioni od espressioni, come appunto ciò che noi indichiamo con la parola anima, non possono esimersi dal sottostare alle leggi generali della natura. Anche se la materialità dell’anima ha caratteristiche peculiari.

Mi rendo conto che io, come del resto, mi sembra, la cultura media generale, invece penso all’anima come trascendenza non materiale che aggiunge alla realtà animale quelle caratteristiche che la rendono umana. Se è invece solo materiale cos’è che posso definire “vita umana”?

Definire la vita umana non è semplice, quindi cercheremo prima di costruirci della idee di base. Parlando in generale, la vita è quel breve spazio di tempo, compreso tra la condizione di massima in-potenza e di massima im-potenza, in cui un aggregato molecolare detto “sistema complesso in equilibrio dinamico”, grazie al continuo apporto di energia dall’esterno, riesce ad aumentare la propria entalpia (cioè, in prima approssimazione, l’energia contenuta all’interno del sistema). Mi spiego meglio: dal concepimento alla nascita ogni animale cresce, cioè sviluppa quanto contenuto nel codice genetico realizzando il massimo della possibilità di vita relativo alla propria specie. Dalla nascita in poi ogni animale, nel contatto col proprio ambiente, realizza delle proprie possibilità quella parte che consentirà la vita del singolo individuo sino alla sua morte. Questo ciclo è caratteristico della materia vivente in ogni sua accezione. Per parlare di “vita umana” sarà necessario osservare molti altri particolari che emergeranno man mano che questa “dialettica” si svilupperà.

Bene, avrò pazienza. Allora possiamo chiarire il rapporto che c’è tra energia e materia in un essere vivente?

Se noi osserviamo lo sviluppo fetale vediamo che a partire dalle cellule fecondate si sviluppa un intero organismo. Ciò vuol dire che, per un periodo prestabilito, miliardi di molecole si aggregano per formare nuove cellule, organi, apparati. Perché ciò avvenga è necessario l’apporto di materia ed energia, cioè i mattoni per costruire il nuovo individuo e la malta per tenerli insieme. Tutto ciò avviene od opera esclusiva del corpo della madre, o della materia ed energia contenuta nell’uovo per gli animali non mammiferi, come pura espressione delle specifiche caratteristiche biologiche. Il feto è espressione passiva dell’attività dell’animale genitore che consente lo sviluppo delle potenzialità contenute nel genoma, così per una formica, ma potremmo anche dire per una pianta rispetto al suo seme, come per il feto umano. Dunque in tutta la fase fetale la madre (o l’uovo) fornisce energia e materia ed il feto si costruisce trattenendo i materiali di costruzione e l’energia necessaria per mantenerli coesi e renderli potenzialmente efficienti. Solo dopo la nascita il neonato dovrà attivamente cercare fonti da cui ricavare l’energia e la materia necessaria per auto mantenersi e compiere il lavoro necessario per trovare fonti alimentari adeguate. Inizia così un “bilancio energetico” e l’animale vivrà fin tanto che il bilancio è positivo.

La tanto diffusa idea di lavorare per raggiungere uno stato di sicurezza, di equilibrio, la famosa “posizione” in cui non è più necessario “darsi da fare”, allora, non nasce da una realtà biologica?

No, certamente no. Forse deriva dal fatto che l’essere umano fa fatica ad accettare che vivere è sinonimo di lavorare. Sembra che non sia facile accettare la “fatica di vivere”, ma questo concetto ha ben altre basi psicologiche. Per la realtà vivente, un equilibrio energetico stabile, considerato come un rapporto tra le proprie parti costitutive non più passibile di trasformazione, non esiste.

Esiste invece una sorta di continuo riequilibrio di forze in continua crescita e trasformazione rispetto agli stimoli dell’ambiente . Un essere vivente è dunque un sistema in equilibrio dinamico, al contrario invece di ciò che accade ad esempio per una bella colonna dorica che, una volta che sia stata forgiata e collocata resta stabile nel tempo, sottostando solo alle leggi dell’entropia.

I sistemi viventi sono organizzazioni instabili di parti (particelle, atomi, molecole, tessuti, organi) in continua evoluzione e adattamento che per mantenere la loro condizione unitaria individuale necessitano di sempre nuova energia. Ma, ancora, ogni nuovo apporto serve a stabilizzare una modifica che a sua volta dovrà essere bilanciata da un’altra trasformazione che richiede altra energia.

Dunque la vita si mantiene finché esiste una possibilità di crescita-evoluzione del sistema.

Rimanere uguali a sé stessi, cioè mantenere stabile una condizione precedentemente raggiunta, per l’uomo è impossibile. Per capire questa affermazione è necessario puntualizzare la differenza tra il concetto di Equilibrio e quello di Equilibrio dinamico. L’Equilibrio è una condizione di bilanciamento stabile di forze, di staticità che è del tutto estraneo alla realtà vivente. Equilibrio dinamico è invece quella condizione in cui ad ogni variazione di energia deve corrispondere una variazione di segno opposto così che il contenuto energetico totale del sistema resti invariato. Per chiarire: se un animale assume una certa quantità di cibo (=energia) per restare in equilibrio dovrà spendere quell’energia per alimentare il suo metabolismo e per muoversi. Se la quantità energetica assunta è maggiore delle necessità allora dovrà essere trasformata in materiali di riserva relativamente stabili poiché non è possibile mantenere uno squilibrio energetico per un tempo indefinito. Sembra un paradosso ma un essere vivente per restare in equilibrio deve sempre “muoversi”.

E’ interessante però notare che non solo gli alimenti forniscono energia (chimica) ma anche l’ambiente (energia fisica).

Anche se complesso mi sembra sufficientemente comprensibile il fatto che con gli alimenti, scissi nei processi metabolici, viene “introdotta” energia da usare per le funzioni vitali ma non è altrettanto chiaro come l’ambiente possa fornire direttamente energia fisica al corpo.

Certo non in modo diretto, ma attraverso l’attivazione di particolari strutture nervose specializzate dette recettori. Anzi, è proprio dall’elaborazione degli innumerevoli dati derivanti dalle infinite variazioni energetiche del raffinatissimo sistema sensoriale che l’essere umano ha sviluppato la sua singolare modalità di essere al mondo. Cerco di essere più chiaro:

la realtà esterna può essere conosciuta dall’uomo solo perché i suoi recettori sensoriali vengono attivati dai particolari tipi di energia esistenti nell’ambiente (Energia luminosa, termica, chimica, meccanica, elettrica o magnetica) dunque ciò che noi chiamiamo realtà altro non è se non quel particolare segmento dell’esistente le cui emissioni energetiche corrispondono al range di funzionamento dei nostri recettori o delle nostre ”protesi tecnologiche” quali microscopi, telescopi, rilevatori di raggi x, registratori di onde ecc che abbiamo costruito per captare ulteriori segnali non direttamente percepibili dai sensi).

Ad esempio un ago che punga la cute od una carezza che la sfiori, altro non sono che trasferimenti di energia cinetica da un corpo in movimento, cioè dotato di una certa quantità di energia cinetica, ai barocettori cutanei; il colore di un fiore o la melodia d’una composizione musicale sono trasferimenti di energia di onde agli specifici recettori retinici od acustici; l’odore di un inebriante profumo in ultima analisi non è che il trasferimento di energia chimica da una molecola particolare ai recettori olfattivi. Ovvero, lo scambio energetico rappresenta l’input che mette in moto un complesso meccanismo di trasmissione nervosa, attraverso l’eccitazione di specifici recettori.

Ma… con tutte queste immagini mi sembra che siamo scivolati dal campo delle realtà scientifiche a quello delle “emozioni”. C’è il rischi che con questo metodo di ricerca possiamo perdere la poesia e ridurre ciò che dà senso alla vita a semplici trasferimenti di energia?

No! Certamente no, anzi sono assolutamente d’accordo nell’affermare che le emozioni, il modo totalmente irrazionale di viverle, siano la base di ciò che fa caratteristica ed unica la vita umana, sino a dire che esse sono alla base del pensiero, anche di quello che ci piace definire “razionale”. Ciò non toglie che il primo momento del complessissimo processo sensazione-emozione-percezione-conoscenza-pensiero è costituito dal semplice squilibrio determinato dall’impatto di una qualsiasi forma di energia con i terminali del nostro sistema sensoriale. Tale evento determina un incremento energetico, una irritazione, capace di innescare una sorta di reazione a catena che interessa innumerevoli strutture nervose, sia del sistema senso-motorio che del sistema neurovegetativo e, successivamente tutti gli altri sistemi (endocrino, immunitario, psichico). Tale meccanismo è comune a tutti gli animali viventi. Ciò che fa diverse le varia specie sino all’uomo non è il meccanismo fondamentale, ma il modo in cui tutto il processo è percepito, vissuto, dalle diverse specie. Dunque il processo base che ha permesso lo sviluppo dal semplice riflesso assonico, (cioè la più semplice risposta motoria ad una stimolo tattile), alla più alta espressione di fantasia, è rappresentato dalla necessità di riportare all’equilibrio un sistema in cui l’ambiente ha determinato un incremento di energia. Ciò che permette all’uomo di rispondere con una poesia all’attivazione dei corpuscoli del Pacini o di Meissner (recettori tattili) da parte dello sfregamento di una mano amorosa è la capacità tipicamente umana di attribuire “senso” a semplici eventi fisico-chimico-biologici.

Questa irritazione attiva una corrispondente reazione ed allora è proprio attraverso questa necessità naturale di ripristinare sempre un nuovo equilibrio energetico interno di fronte a qualsiasi alterazione che si realizza ciò che noi chiamiamo “rapporto col mondo”.

Possiamo cominciare a parlare dell’anima?

Se accettiamo l’origine materiale della realtà umana e delle sue manifestazioni dobbiamo abbandonare il termine anima, che nella cultura diffusa ha una connotazione eminentemente religiosa, e più propriamente cominciare a parlare di “Psiche”, il che significa che essa non è “altro” rispetto alla realtà materiale del corpo vivente ma che ne è una sua speciale espressione emergente dallo specifico modo in cui le strutture nervose che si correlano a tutte le “intelligenze” del corpo  “leggono” le interazioni col mondo esterno e con l’umano altro da sé.

Allora un metodo per comprendere come si articolino i vari processi relativi all’attività delle strutture e sistemi verosimilmente interessati alla formazione della realtà psichica, potrebbe essere quello di studiare le modalità attraverso cui, dopo la nascita, l’energia proveniente dall’esterno viene processata sin dai primi momenti di attività delle strutture nervose in formazione.

Seguire cioè la storia dell’energia, dal momento in cui, per un bizzarro evento in cui due esseri umani si scambiano del materiale genetico, la crescita dell’entropia viene momentaneamente arrestata per costruire un’entità che lotta per accrescere la propria energia interna (entalpia), sino al momento in cui il termine della dinamica energetica detto morte dell’essere vivente, restituisce all’entropia la facoltà di crescere indefinitamente. La vita così potrebbe essere definita come la dinamica energetica tra il momento del massimo dell’entalpia, cioè il momento della nascita che rappresenterebbe il massimo delle potenzialità umane, ed il massimo dell’entropia, cioè la morte dell’individuo che ha consumato tutta la sua energia interna per definirsi, sino al momento in cui essa diviene insufficiente per mantenere l’aggregazione molecolare di ciò che può essere stato oggetto e fonte di amore, di creatività, di arte.