Posturologia e Posturodonzia

Carlo de Michele

Aprile 2005

Clinica e semeiotica posturale sportiva.

 

Può sembrare strano parlare di postura, il cui oggetto è l’uomo in atteggiamento statico, in un contesto sportivo, il cui oggetto è la dinamica sino alle sue espressioni più specializzate.

Lo sarà di meno se consideriamo la postura come l’atteggiamento di base a cui tendono tutti gli squilibri che determinano il movimento: il camminare o il correre possono infatti essere immaginati come una serie di oscillazioni caratterizzate dalla momentanea uscita della proiezione a terra del baricentro del corpo dal poligono di appoggio e dalle reazioni delle forze che tendono a riportarlo all’interno.

Dunque una definizione di postura potrebbe essere quella di :”atteggiamento del corpo, corrispondente ad un a precisa rappresentazione cerebrale, a cui si tende dopo ogni alterazione dell’equilibrio”, in armonia con quanto intuito da Alexeef e Nayadel nel 1973.

La postura sarebbe dunque quell’organizzazione globale del rapporto tra i segmenti cui il corpo fa continuo riferimento durante l’esecuzione di qualsiasi gesto che lo allontani dalla posizione di equilibrio teorico.

E’ intuitivo quanto una corretta postura sia essenziale per uno sportivo!

 

Ma questa altro non è che una delle molte possibili definizioni di una realtà evidentemente molto difficile da definire.

Allora cerchiamone un’altra: “la postura è la condizione in cui il corpo riesce a mantenere col dispendio energetico minimo una oscillazione continua attorno al teorico punto di equilibrio, tenendo conto continuamente delle variazioni dell’ambiente sia interno che esterno, e da cui può uscire per iniziare un movimento con la maggiore efficienza possibile”.

Ciò vuol dire che esiste una condizione teorica in cui i vari segmenti corporei possono resistere alla forza di gravità senza usare l’energia delle contrazioni muscolari ma usando la sola forza elastica di legamenti e capsule articolari, un po’ come un’asta in equilibrio sulla punta d’un dito.

L’aver accennato alle continue oscillazioni vuol significare che alla condizione ideale a cui ho prima accennato si oppongono costantemente stimoli che provengono dall’ambiente esterno o interno, come la variazione del campo visivo, la modificazione del piano di appoggio, la modificazione dall’ambiente acustico, le variazioni termiche, i cambiamenti relativi al ritmo respiratorio, al ritmo cardiaco, allo stato emotivo, alla presenza di un qualsiasi focus infiammatorio cioè stimoli anche modestissimi dal punto di vista energetico.

A questi stimoli un corpo sano reagisce senza ricorrere alla muscolatura volontaria (fasica, ad alto dispendio energetico, poco resistente alla fatica) ed agli schemi di movimento corticali coscienti, ma alla muscolatura posturale inconscia (tonica, a basso dispendio energetico, molto resistente alla fatica) attivata da riflessi.

La dinamica dei riflessi posturali non è lineare, vale a dire che la risposta non è direttamente proporzionale allo stimolo (come avviene ad esempio per i piatti d’una bilancia il cui spostamento è direttamente proporzionale al peso poggiato), ma è il risultato di una complessa processazione di dati che dà luogo ad una serie di meccanismi di feedback (riadattamento interno in funzione della risposta allo stimolo) e di feedforward (adattamento in previsione dello stimolo secondo modelli comportamentali preacquisiti).

E’ importante accennare al fatto che il comportamento del corpo umano può essere assimilato a quello dei sistemi complessi in cui un piccolo stimolo può elicitare una grande risposta o viceversa, in cui stimoli diversi possono provocare risposte uguali ed in cui stimoli uguali in diverse condizioni spazio temporali possono provocare risposte diverse.

In particolare, in ambito posturologico, ciò che noi definiamo “sindrome” è sempre il risultato di piccoli stimoli   che a lungo andare superano le capacità di compenso, così come elementi terapeutici sono ancora piccoli stimoli che inducono nuovi adattamenti capaci di ridare all’organismo possibilità di compenso.

 

In generale possiamo dunque dire che il “sistema corpo” è un sistema aperto all’influenza di fattori esterni e dotato di grandi capacità di adattamento. Dunque, dall’interazione tra questi elementi deriva la specificità, anzi l’unicità di ogni essere umano.

Ne consegue che anche le malattie sono caratterizzate da una specificità, (cioè assumono caratteristiche diverse nei diversi individui) e che quelle che noi definiamo sequele sintomatologiche di malattie altro non sono che l’insieme di eventi che raccolgono la maggiore probabilità statistica di verificarsi, a partire dalle caratteristiche storiche individuali, dalla specifica capacità reattiva e dalla potenzialità lesiva della noxa.

 

 

 

Il piede nella “tattica della caviglia”

 

 

Le oscillazioni posturali sono rese possibili, oltre che dai sopracitati meccanismi neurologici, dalla conformazione biomeccanica dell’articolazione tibio-peroneo-astragalica (ATPA).

La pinza tibio-peroneale si articola coll’ astragalo che consente movimenti di flesso- estensione (oscillazioni sul piano sagittale) e movimenti di lateralità (oscillazioni sul piano frontale).

Nella posizione eretta l’ATPA rapresenta il fulcro di una coppia di forze rappresentate dalla forza peso applicata a livello del baricentro del corpo che si proietta a livello delle tarsometatarsiche surale (muscolo a ricca componente tonica) col suo tendine d’inserzione calcaneare (t. di Achille).

Questo tipo di oscillazioni sono possibili quando il piede poggi su di un piano rigido mediante l’appoggio a tre punti. Se invece l’appoggio si realizza per mezzo della volta plantare su di un sostegno a margine sottile la caviglia non riesce più a gestire il gioco delle forze ed allora il mantenimento dell’equilibrio è possibile solo cambiando tattica e spostandosull’anca la gestione delle forze.

Questo breve accenno alle tattiche che il corpo umano usa per gestire l’equilibrio serve ad indicare che tale operazione è l’espressione di un sistema complesso, cioè di un sistema non isolato (in cui, cioè, tutte le parti componenti sono in interazione reciproca) e sottoposta a continui influssi provenienti da altri sistemi e sottosistemi, che per seguire la strategia dell’equilibrio (mantenere cioè la proiezione del baricentro all’interno del poligono di appoggio) si serve delle tattiche di volta in volta più opportune per far funzionare i suoi meccanismi di controllo e previsione.

La postura è l’espressione di un sottositema del grande sistema dell’equilibrio, è gestita da strutture specifiche e viene comunemente indicata col nome: Sistema Posturale Fino (SPF).

Per SPF dunque si deve intendere non un organo od un apparato, tanto meno una localizzazione neuronale specifica, ma una funzione complessa che riguarda numerosissime strutture del Sistema Nervoso, di cui noi osserviamo l’espressione finale.

In questo ambito una sindrome posturale non può essere considerata come una conseguenza di una lesione d’organo, ma come l’espressione manifesta dell’alterazione di una organizzazione funzionale ( Sindrome da deficit posturale, secondo la dizione di Da Cunha)

 

In ambito posturale noi possiamo osservare disfunzioni non correlate ad un  danno anatomico primario.

 

 

Il Sistema Posturale Fine

 

Come abbiamo appena accennato con la dizione SPF si intende una organizzazione funzionale complessa in cui individuiamo una serie di informazioni in entrata ( dati che provengono dall’attivazione di recettori periferici) che vengono processate tra loro e raggiungono differenti centri del sistema nervoso centrale da cui emergono segnali in uscita capaci di mantenere le oscillazioni stocastiche del corpo all’interno del centro ideale del poligono di appoggio (una ellissi di circa 100 mm. di diametro).

L’attività posturale è indipendente dall’attività dei canali semicircolari,: poichè le oscillazioni posturali si manifestano all’interno di una ellissi con raggio intorno ai 2°, limite entro il quale essi non reagiscono. Comunque se le oscillazioni superano il limite di 4° istantanee contrazioni dei muscoli fasici intervengono per riportare il centro di pressione (punto a terra in cui viene proiettato l’asse passante per il baricentro) all’interno dell’ellissi posturale.

Le informazioni che il SPF deve integrare provengono da recettori specifici preposti alla registrazioni dei eventi esterni (esocettori) come le informazioni provenienti dalla retina o dai meccanocettori plantari, o alla registrazione di eventi interni (endocettori) cioè le informazioni sullo stato di tensione di muscoli, tendini e capsule o sulla velocità angolare delle articolazioni.

Attraverso vie nervose specifiche le informazioni giungono ai gangli spinali dorsali ove avvengono importanti integrazioni di segnale, per poi entrare nel midollo spinale ove avvengono fenomeni di amplificazione o abbassamento del segnale, diffusione controlaterale o ai metameri sopra o sottostanti, sommazione con segnali provenienti da altri distretti metamerici o anche dai visceri, (integrazione con segnali provenienti dal Sistema Neuro Vegetativo). Vie spinali conducono il segnale al Talamo, al Cervelletto, alla Corteccia, ove il segnale viene ulteriormente integrato per poi giungere ai nuclei della Sostanza Gelatinosa di Rolando da cui partono la maggior parte dei segnali regolatori per i muscoli tonici.

E’ importante ricordare che quando si parla di riflessi posturali non dobbiamo riferirci al modello di arco diastaltico, come ad es. il riflesso patellare, ma sempre a reazioni complesse che, a partire da informazioni contemporaneamente giunte da organi recettoriali diversi, vengono integrate per dare una risposta inconsapevole. Infatti per poter vedere un riflesso posturale puro l’animale da esperimento deve essere spinalizzato (devono essere interrotte chirurgicamente tutte le vie che collegano la corteccia al sistema spinale).

 

Sistemi di indagine della Postura

 

Prima di procedere all’esame clinico è importante raccogliere una accurata anamnesi specialmente per ciò che riguarda la storia traumatologica, gli interventi chirurgici e le anestesie sopportate, l’eventuale presenza di episodi di perdita di coscienza più o meno prolungata, l’abitudine ad assumere farmaci, l’esistenza di patologie ortopediche o generali in atto.

 

La Postura può essere osservata nella sua espressione globale, cioè nel modo in cui il paziente sta in piedi di fronte a noi: in questa fase osserveremo gli assi di simmetria verticali ed orizzontali, gli allineamenti degli arti, la presenza di deformità, paramorfismi o evidenti abnormi tensioni dei muscoli fasici. Sarà opportuno notare la presenza di cicatrici cutanee.

E’ molto difficile e forse impossibile valutare la funzione posturale in termini assoluti ed oggettivi, essendo essa l’espressione della singolarità di ogni individuo. Riteniamo che sia però altrettanto utile valutarne l’armonia, cioè valutare se i comportamenti posturali di quello specifico soggetto sono armonici e se rappresentino l’espressione di un utile compenso delle problematiche relative alla anamnesi del soggetto in esame.

Un buon aiuto ci viene dall’uso di pedane stabilometirche (diverse dalle pedane baropodometriche che sono in grado di fornire informazioni qualitative rispetto alla distribuzione dei cariche durante la stazione eretta e la deambulazione), che attraverso l’applicaione di specifici algoritmi sono in grado di valutare le caratteristiche delle oscillazioni a livello di diverse stazioni del corpo.

Ma regina dell’esame posturale è la clinica che, osservando come si trasmettano alcuni stimoli capaci di accendere risposte toniche riflesse, può cogliere informazioni sulla capacità funzionale del SPF.

Questi test si basano sulla capacità di particolari recettori ad essere stimolati da particolari manovre: ad esempio il test dei rotatori studia la risposta di recettori sensibili alla velocità di stiramento muscolare in funzione della viscosità; il test di convergenza podalica invece studia la risposta dei recettori sensibili all’ampiezza dello stiramento in funzione dell’elasticità muscolare.

Le modalità di esecuzione dei due test sono simili: per il primo si afferrano i talloni del soggetto sdraiato supino a gambe tese e leggermente divaricate, si imprimono quattro movimenti di rotazione interna dei piedi in modo piuttosto veloce e regolare e si osserva infine se c’è differenza di posizione dei piedi: quello meno intrarotato indica un ipertono dei muscoli extrarotatri dell’anca.

Il secondo ha la stessa posizione di base, si afferrano i piedi e si imprime un solo movimento lento di intrarotazione dei piedi:quello meno intrarotato indica l’ipertono. Di norma i due test danno risposte opposte nello stesso paziente. I test possono essere ripetuti introducendo elementi di complessità quali la rotazione della testa, la rotazione dello sguardo o la diduzione mandibolare, per avere ulteriori informazione sul funzionamento del SPF.

 

Uno dei test che offre più informazioni è il test Posturo dinamico, che si prefigge lo scopo di valutare come le alterazioni di tono principalmente dei muscoli paravertebrali influenzino l’armonia del movimento vertebrale.

E’ noto che la inclinazione della colonna a livello dorsale e lombare non può avvenire se non in concomitanza con una rotazione controlaterale. Valutando tali movimenti, nel momento in cui si sia raggiunta una buona sensibilità clinica è possibile avere informazioni importanti sullo stato di funzione posturale e del livello in cui si presenti al momento l’alterazione tonica prevalente.

Sempre nella stazione eretta è possibile valutare l’armonia podo-pelvica: poiché l’oscillazione laterale del bacino a gambe lievemente divaricate si accompagna ad un ampio ed armonico movimento di anteposizione omologa dell’ala iliaca, alterazioni di questo movimento, sempre quando si sia acquisita una buona sensibilità, ci può dare indicazioni sull’esistenza di una spina irritativa podalica e ci permette di localizzarla. Permette inoltre di valutare l’efficacia di un provvedimento terapeutico e se una ortesi plantare ha o meno influenza sull’equilibrio posturale.

Come risulta dall’esposizione non ritengo sia più molto giustificato il concetto di lesione ascendente, discendente poiché concettualmente la postura rappresenta il risultato di un adattamento dinamico e non di una lesione stabile, organica, che comporti l’organizzazione di catene lesionali, lasciando questo tipo di logica allo studio delle lesioni osteopatiche.

Che tale impostazione sia corretta è dimostrato dalle più recenti scoperte nell’ambito delle neuroscienze cui in questa sede non è possibile nemmeno accennare per la loro complessità

 

Questi semplici test, se eseguiti con opportuna perizia, permettono di formulare diagnosi di deficit posturale in persone scevre da affezioni organiche o strutturali, che presentino sintomatologia instabile, a volte mal definibile, vertigini soggettive, cefalee ricorrenti, dolori mialgici diffusi, cervico-dorso-lombalgie, dolori strani agli arti inferiori, difficoltà visive, ma non dovremo stupirci di fronte alla comunicazione di dolori di qualsiasi tipo, talvolta anche viscerali, ricordiamo, in persone globalmente sane.

Nello sportivo questi test dovrebbero essere addirittura somministrati in fase di visita di idoneità poiché spesso questi soggetti hanno grandi capacità di compenso ad opera della muscolatura volontaria e quindi possono presentarsi con importanti deficit posturali completamente asintomatici. In questi casi dunque una visita posturale approfondita può avere valore predittivo su possibili patologie degenerative o da carico poiché lo sportivo, se pure apparentemente in buona salute si trova in realtà a sovraccaricare in modo scorretto ed in modo notevole le sue strutture articolari a causa della sua notevole forza muscolare.

Inoltre per uno sportivo una buona propriocezione è indispensabile non solo ai fini del mantenimento di un buono stato di salute, ma anche ai fini di una più corretta ed automatica esecuzione dei complessi gesti specifici.

 

 

 

 

 

 

 

DALL’ODONTOIATRA AL POSTUROLOGO E V.V.

Dr. Carlo de Michele

Convegno Dental Tray

Roma, 4 Luglio 2009

 

Non amo pensare alla posturologia come ad un’ennesima specializzazione della medicina, quindi ad un’ulteriore parcellizzazione del sapere, ma piuttosto ad un modello di organizzazione delle conoscenze che, riferendosi ad una specifica espressione dell’uomo, cioè il suo stare in piedi e muoversi, sembra riportarci alle domande basilari sul senso dell’esistenza dell’uomo.

Per tentare di dare una sia pur parziale risposta siamo quindi costretti a pensare all’uomo nella sua totalità individuale e al sapere come alla conoscenza del mondo che ciascuno di noi ha, più o meno consapevolmente.

Il sapere medico, dal 1600 ad oggi, ha tratto grandi vantaggi dall’applicazione al proprio terreno del metodo e delle conoscenze sviluppate dai fisici nello studio della natura. La metodologia della fisica Newtoniana si basa sulla individuazione di un problema, sulla osservazione, sulla creazione di un modello semplificato, distinguendo caratteristiche significanti e caratteristiche secondarie, sulla sua traduzione in termini matematici, sulla ricreazione del modello in laboratorio e sulla verifica sperimentale. Questa impostazione ha permesso di scoprire con precisione indiscutibile la gran parte dei fenomeni biologici sino alla natura e le relazioni delle singole molecole,  se considerati singolarmente nella loro struttura essenziale, ma mostra i suoi limiti se li consideriamo nella loro globalità di fenomeni unici, complessi di cui possiamo avere nozione solo osservandone le specifiche espressioni. In questi casi, pur restando valido il principio di linearità nei rapporti tra i singoli componenti del sistema considerati in modo isolato, (vale a dire che al variare dell’uno abbiamo una variazione diretta e proporzionale dell’altro) le interrelazioni sono talmente tante che il comportamento finale non è prevedibile a partire dalla modificazione di un dato iniziale. I sistemi biologici sono SISTEMI COMPLESSI in cui più che lo studio del funzionamento delle singole parti considerate isolatamente è necessario studiare il modo in cui le parti comunicano e si relazionano per dar luogo ai comportamenti finali che noi osserviamo.

La Postura, come del resto qualsiasi comportamento umano, è espressione di complessità. Il mantenimento della posizione eretta ed il movimento sono il risultato ultimo, evidente, di una serie infinita di equilibri instabili interdipendenti, che consentono all’uomo di adeguare costantemente la propria condizione al variare delle situazioni ambientali.

Sappiamo che il corpo umano è dotato di numerosissimi recettori in grado di rilevare costantemente parametri fisico chimici ambientali. I dati vengono interfacciati a vari livelli in funzione delle capacità di comunicazione dei diversi network per essere trasformati in potenziali d’azione che giungono alla rete più elevata costituita dal sistema emisferico che elabora pensiero o azione in risposta.

Per comprendere come l’uomo sia arrivato ad assumere le sue caratteristiche attuali, ed in particolare la postura bipodalica, è necessario ripercorrere alcune tappe fondamentali dell’evoluzione, ed in particolare quelle relative al S. Nervoso, poiché è indubbio che la specificità umana sia sostenuta dalle caratteristiche del suo cervello.

 

PRINCIPI DI EVOLUZIONE

Nel momento in cui particolari sostanze proteiche si sono raggruppate legandosi a particolari processi metabolici e riproduttivi è stato necessario differenziare un interno dall’esterno, ed a ciò ha provveduto la membrana cellulare, la cui funzione fondamentale è quella di mantenere une condizione interna costante rispetto a condizioni esterne variabili. Per accedere a tale funzione sulla superficie della membrana si sono sviluppate particolari strutture proteiche, i recettori,  capaci di rilevare le condizioni esterne e di comunicarle all’interno. Più cellule (cioè strutture fornite di membrana con esigenze complementari) hanno poi trovato utile correlarsi formando i primi sincizi in cui la comunicazione avveniva per contiguità attraverso prodotti espulsi all’esterno. I successivi gradini dell’evoluzione hanno dato luogo ad organismi sempre più complessi in cui alcuni gruppi cellulari si sono differenziati a costituire l’epitelio esterno, (cioè una sorta di membrana che invece di racchiudere i liquidi e le strutture di una singola cellula racchiude l’insieme delle cellule costituenti l’individuo) ricco di recettori ambientali. Tra le cellule epiteliali alcune si sono poi specializzate nella recezione e trasmissione di informazioni sino a costituire i primi abbozzi di sistema nervoso. La specializzazione in cellule nervose ha costituito un grosso vantaggio per la velocità e precisione di comunicazione, poiché l’informazione viene condotta attraverso vie specifiche direttamente alle cellule interessate. Il modello della trasmissione per contiguità non è stato però abbandonato, ma svolge tuttora una funzione importante anche negli organismi evoluti: esso permane sia nella funzione di informazione nelle reti (sia periferiche che centrali) sia nella funzione endocrina in cui sostanze (ormoni) prodotte da cellule vengono espulse   all’esterno e svolgono la loro attività andando indistintamente a toccare le cellule che abbiano sulla superficie particolari siti recettoriali. Il sistema permette diversi tipi di comunicazione:

  • ENDOCRINA: a distanza per via ematica. Le stesse sostanze  sono prodotte però anche dai neuroni (neurormoni) realizzando una comunicazione di tipo ormonale per via nervosa.
  • PARACRINA: nell’ambiente liquido a cellule prossime (ormini,neurotrasmettitori).
  • AUTOCRINA: all’interno della stessa cellula: la membrana cellulare è provvista di recettori sensibili a prodotti propri espressi all’esterno.

 

Una volta realizzate strutture viventi capaci di autoreplicarsi sono apparse continue attività di trasformazione secondo i principi fondamentali dell’evoluzione.

In tutti gli esseri viventi dotati di patrimonio genetico trasmissibile avvengono continuamente ed   in modo del tutto afinalistico una grande quantità di mutazioni sotto la pressione di agenti esterni, la maggior parte delle quali vengono bloccate prima che possano dare luogo alla loro espressione dalla capacità di ogni organismo di conservare la propria identità strutturale. Raramente danno luogo a   strutture nuove che però, nella stragrande maggioranza dei casi, confliggono con la possibilità di vita del soggetto. In modo eccezionalmente raro invece danno luogo ad una nuova struttura che le condizioni ambientali favoriscono rispetto alle forme precedenti. Solo in questi rarissimi casi, che per realizzarsi hanno bisogno di un grande numero di prove in tempi di lunghezza inimmaginabile, emergono nuovi individui datati di nuove capacità che tuttavia non comportano l’abbandono di strutture e funzioni precedenti. Le nuove specie presentano   nuove capacità che consentono di ampliare gli spazi in cui approvvigionarsi dell’energia necessaria alla sopravvivenza e riproduzione relegando le antiche attività a livelli inferiori, di controllo automatico di funzioni organiche, poiché la nuova struttura di solito esprime una capacità inibitoria che permette di modulare la funzione precedente.

Un esempio illuminante è costituito dal passaggio dai celenterati (meduse) alle prime forme di pesci dotati di midollo spinale assiale. Nei celenterati la trasmissione degli impulsi avviene per contiguità cellulare per mezzo di un amminoacido eccitatorio, il GLUTAMMATO (la stessa sostanza che nell’uomo ha grande importanza in numerosissimi processi nervosi come la memoria o la cronicizzazione del dolore). Qualsiasi sia lo stimolo che colpisce il mantello della medusa essa reagisce contraendo globalmente le sue cellule muscolari realizzando un primitivo riflesso di allontanamento. La comparsa di una nuova molecola, l’enzima decarbossilasi, ha permesso di trasformare l’amminoacido eccitatorio in un’altra molecola, l’ ACIDO GAMMA AMINO BUTIRRICO, capace di inibire la funzione eccitatoria del glutammato. In funzione di ciò si sono sviluppate strutture capaci di rispondere ad uno stimolo non in modo globale ma in modo modulato per il raggiungimento di un fine. Il gioco di queste sostanze ha permesso l’emergenza di strutture con un abbozzo di sistema nervoso al centro del corpo, una divisione simmetrica in destra e sinistra e la possibilità di realizzare una nuova forma di propulsione, ad esempio il nuoto serpeggiante, attraverso il semplice alternarsi di impulsi eccitatori (Glutammato) ed inibitori (GABA) sui muscoli laterali.

E’ da tenere presente che il gioco di queste sostanze è giunto intatto sino all’uomo.

Possiamo quindi enunciare il principio fondamentale dell’Evoluzione in questi termini: mutazioni del tutto casuali in rarissimi casi danno luogo a nuove strutture; se la selezione ambientale favorisce gli organismi dotati di nuova capacità le strutture precedenti non vengono eliminate ma restano per gestire le vecchie funzioni sotto il controllo inibitorio delle nuove strutture dotate di capacità finalistiche più elevate.

Conseguenza di questo tipo di organizzazione è il fatto che se per qualche ragione viene meno il controllo da parte delle strutture superiori quelle sottostanti possono riprendere il controllo della situazione, realizzando così un meccanismo fisiopatologico di base comune a molte malattie (Riflesso di Babinsky, Parkinson, difetti posturali)

 

Sulla base dei principi dell’evoluzione Mc Clean ha formulato la “teoria dei tre cervelli”, distinguendo negli animali superiori tre tappe fondamentali:

1) Il cervello rettiliano in cui compaiono cervelletto e mesencefalo che gestiscono il movimento ed il controllo delle funzioni fisiologiche vitali.

2) Il cervello dei mammiferi, in cui compare il sistema libico, a cui si devono i primi comportameti sociali.

3) Il cervello superiore (dei primati) che consente un elevato controllo volontario sino alla mentalizzazione totale degli esseri umani.

La caratteristica umana che più ci interessa per quanto riguarda il sistema nervosa è rappresentata dalla trasformazione euristica del suo funzionamento. Sino ai primati il sistema nervoso è la struttura che esprime il massimo dell’adattamento all’ambiente: per quanto le capacità decisionali del singolo siano elevate tuttavia non si discostano mai dalla finalità di consentire nel modo migliore possibile sopravvivenza e riproduzione. Esiste anche una notevole capacità di apprendimento, ma è sempre finalizzato alla ottimizzazione degli istinti. Anche nei primati la base dei comportamenti sono geneticamente predeterminati.

 

LE CARATTERISTICHE UMANE

Nell’uomo invece avviene un vero e proprio salto. La possibilità di esprimere libertà prevale sulle leggi dell’adattamento; l’uomo nasce privo di nicchia biologica per tanto è l’unico animale che ha la possibilità e la necessità di modificare l’ambiente secondo le proprie esigenze. Il cervello umano invece di esprimere il massimo dello sviluppo in funzione dell’ambiente esprime il massimo delle potenzialità ed uno sviluppo epigenetico mai realizzate negli scalini evolutivi precedenti. Il cervello umano ha possibilità di sviluppare pensiero irrazionale, di inventare oggetti inesistenti in natura, di pensare sé stesso e creare conoscenza.

Queste nuova capacità sono il frutto di uno sviluppo eccezionale particolarmente a carico delle strutture emisferiche in funzione di una flessione della parte anteriore del tubo neurale secondo un piano di sviluppo embrionale che ricorda le tappe dello sviluppo evolutivo. Per inciso ricordo che il rapporto tra massa cerebrale e volume corporeo è, negli esseri umani, il doppio che nei primati più evoluti.

E’ l’enorme sviluppo del cervello che ha determinato il cambiamento della forma del cranio osseo umano e, forse, anche la stazione eretta. Se noi osserviamo il fenomeno dal punto di vista evoluzionistico vediamo come all’aumento volumetrico delle strutture nervose cefaliche corrisponde una progressiva flessione anteriore del massiccio facciale. Nei rettili ed anfibi il cranio è piatto, triangolare, svolto tutto nel piano orizzontale. Negli uccelli comincia a conformarsi una calotta con il becco che scende in avanti ed in basso. Nei mammiferi la calotta cranica è ben conformata ed il massiccio facciale è tutto al di sotto di un osso frontale che assume una verticalità sempre maggiore. Nell’uomo la flessione-spiralizzazione arriva al suo compimento con una sviluppo enorme della volta cranica, una riduzione di volume ed arretramento del mascellare e del mandibolare. Possiamo pensare quindi che sia proprio lo sviluppo delle masse cerebrali con le loro simmetrie ad influenzare le trasformazioni spaziali del cranio e delle strutture scheletriche umane.

 

LE BASI DELLA POSTURA

Gli elementi che debbono essere presi in considerazione sono le suture craniche, le strutture della base con le piramidi del temporale, la falce con il suo innesto sulla crista galli, il tentorium nella sua prosecuzione ideale col piano della base del cranio. E’ verosimile che queste strutture, sotto la spinte di forze di pressione e trazione, correlate alla presenza della forza di gravità, rappresentino le chiavi spaziali rispetto a cui si orientano nello sviluppo post natale le simmetrie posturali.

E’ infatti evidente che la possibilità di mantenere correttamente l’equilibrio necessario alla postura eretta ed al movimento bipodalico è funzione del corretto allineamento della posizione spaziale dei canali semicircolari e dell’asse bipupillare. E’ altrettanto evidente che questi allineamenti sono prioritari mentre la parti mobili osteo-artro-muscolari rappresentano momenti di compenso a garanzia dell’allineamento fondamentale.

Quali sono i meccanismo attraverso cui si realizza la postura umana? Anche in questo caso vediamo confermata l’asserzione fondamentale dell’evoluzione, cioè che la comparsa di nuove potenzialità non elimina le capacità precedentemente convalidate. Infatti il meccanismo base della postura è costituito da attività nervosa riflessa, così come nei celenterati e nei primi vermi marini.

Caratteristica specifica della postura è infatti quella di non essere gestita da elaborazioni coscienti e da muscolatura volontaria ma da informazioni inconsce e dalla muscolatura involontaria, tonica. Il riflesso fondamentale è il riflesso di estensione, antigravitario,  (conseguente alla stimolazione della pianta del piede) così come osserviamo nei classici esperimenti sui gatti decerebrati. Sono poi i meccanismi di inibizione cerebellari e cerebrali superiori che intervengono a modulare l’ attività muscolare riflessa. Il meccanismo principale di gestione del mantenimento della postura avviene ad opera del sistema dei gamma motoneuroni, la cui funzione è quella di mantenere un costante ed adeguato livello di contrazione dei muscoli involontari in funzione delle continue oscillazioni.

La postura è mantenuta in funzione di una immagine propriocettiva individuale di verticalità. Tale immagine non è congenita ma è acquisita in funzione della possibilità della specie umana di mantenere la stazione eretta bipodalica e della storia individuale. Ciò vuol dire che molto raramente la postura soggettiva corrisponde alla verticale fisica. In realtà essa è la migliore possibile in funzione della realtà individuale (anomalie di sviluppo, errori di apprendimento, muscolatura inadeguata, esiti di malattie o traumi pregressi ecc) tenendo conto che istante per istante il nostro corpo conosce le disponibilità in funzione della memoria biologica di ogni evento che abbia interessato la nostra realtà.

Sappiamo inoltre che la postura è correlata al tipo di informazioni che giungono dai recettori periferici (Occhi, afferenze otolitiche, barocettori della pianta del piede, recettori muscolo tendinei) ma ancora si discute sul valore da attribuire alle informazioni oro-dentali. Si ritiene dai più che esse abbiano valore di interferenza con quelle provenienti dai recettori specifici, ma alcune scuole francesi ritengono bocca e denti un vero e proprio recettore posturale. Ciò in funzione della grande innervazione trigeminale che sarebbe responsabile non solo della attività sensorimotoria ma anche della percezione spaziale delle meningi. In particolare la perpendicolarità tra tentorio e grande falce costituirebbero una sorta di matrice spaziale originaria che informa la postura in toto e che dovrebbe funzionare in relazione alla orizzontalità del piano di masticazione.

Un’ipotesi che non è ancora apparsa sui testi a disposizione è che le alterazioni del controllo posturale possano scaturire dal meccanismo comune su base evolutiva che consiste nel fatto che se le strutture di controllo supriori per qualche ragione vengono meno ricompare l’attività precedentemente svolta dalle strutture inferiori.

Può questa ipotesi attagliarsi a quanto avviene a livello oro-dentale?

Ritengo di si, poiché in bocca spesso avvengono situazioni che portano a stimolazioni di tipo anomalo, come un alterato contatto dentale, mancanze, infezioni croniche, esiti cicatriziali di interventi chirurgici. Tutte questa situazioni innescano meccanismi neurologici particolari che partendo da stimolazioni di tipo genericamente irritativo, possono facilmente cronicizzarsi  per ragioni locali o per complessi meccanismi di centralizzazione dell’infiammazione, mandando in tilt i meccanismi di controllo superiori. In questi casi potrebbero riemergere meccanismi primitivi di risposta allo stimolo che consistono nell’innesco di contrazione dell’apparato estensore in modo afinalistico. In tali condizioni gruppi di muscoli estensori si troverebbero in contrazione non in funzione del mantenimento della postura ma per una stimolazione anomala di tipo eccitatorio/infiammatorio. Questa potrebbe essere la base di numerose reazioni adattative sia di tipo biomeccanico che neurologico che possono dare luogo a numerosissimi quadri patologici che vanno dai comuni mal di schiena, alle vari forme di artrosi, ad alcuni tipi di emicrania, a tutto il corteo di disturbi che vanno sotto il nome di sindrome da deficit posturale ma anche alterazioni di ordine generale che possono giungere sino alla comparsa di coliti ulcerose così come ha dimostrato Speransky negli anni 50, provocando coliti ulcerose in cani a cui provocava pulpiti croniche per mezzo di capsaicina